Onorevoli Colleghi! - La strategia scelta dal legislatore italiano per governare la fase di transizione dalla televisione analogica alla televisione digitale è condensata in una disciplina transitoria alquanto scarna (articolo 2-bis, comma 7, del decreto-legge n. 5 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 66 del 2001; articolo 23 della legge n. 112 del 2004, ora articolo 25 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005) che appare ispirata a un disegno di conservazione dell'attuale struttura del mercato della televisione analogica, caratterizzato, com'è noto, da una forte concentrazione oligopolistica altamente ostile all'ingresso di nuovi operatori.
      In primo luogo, si stabilisce che fino all'attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale, i soggetti esercenti a qualunque titolo attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale possono effettuare, anche attraverso la ripetizione simultanea dei programmi già diffusi in tecnica analogica, le sperimentazioni delle trasmissioni in tecnica digitale

 

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terrestre fino alla completa conversione delle reti, nonché richiedere, nei limiti e nei termini previsti dalla deliberazione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 435/01/CONS, in quanto con essa compatibili, le licenze e le autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale terrestre. Dunque i soggetti che attualmente trasmettono sulle frequenze analogiche terrestri (comprese quelle utilizzate per le reti eccedenti i limiti di cui alla legge n. 249 del 1997 cui fa riferimento la Corte costituzionale nella nota sentenza n. 466 del 2002) possono utilizzare le frequenze a loro disposizione per la sperimentazione digitale: nulla è previsto per fare fronte all'attuale concentrazione delle frequenze in capo agli operatori dominanti nel settore radiotelevisivo, con la conseguenza che l'attuale situazione, caratterizzata da una notevole sproporzione nella distribuzione delle frequenze a favore dei due operatori dominanti (risultante dagli «accaparramenti» resi possibili dalla mancata regolamentazione del passato), pare destinata a perpetuarsi anche dopo il passaggio al digitale, malgrado l'uso assai più efficiente delle frequenze reso possibile di per sé dall'adozione della tecnica trasmissiva digitale.
      A ciò si aggiunga l'assenza, nella nuova disciplina, di limiti al numero di autorizzazioni per operatore di rete assentibili in favore di un medesimo soggetto: i limiti antitrust ridefiniti dalla citata legge n. 112 del 2004 (cosiddetta «legge Gasparri») riguardano la raccolta di risorse nel sistema integrato delle comunicazioni, ma non riguardano il numero massimo di reti di trasmissione in capo ai soggetti operanti sul mercato. Tutto ciò pone i soggetti attualmente dominanti in una posizione incomparabilmente più favorevole per affrontare la fase di transizione, dando luogo a quei fenomeni continuativi di concentrazione, dai mercati tradizionali a quelli emergenti, da parte degli incumbent, che costituiscono uno dei principali ostacoli alla piena attuazione del processo di convergenza.
      In terzo luogo, pur prevedendo il citato articolo 2-bis, comma 7, lettera a), del decreto-legge n. 5 del 2001, in linea con la normativa comunitaria, la distinzione tra i soggetti che forniscono i contenuti e i soggetti che provvedono alla diffusione, tale separazione è stata finora intesa dalla stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in modo assolutamente formale e tale da svuotare di significato il principio della distinzione tra operatore di rete e operatore di contenuti. Il regolamento relativo alla radiodiffusione terrestre in tecnica digitale, di cui alla citata deliberazione n. 435/01/CONS della medesima Autorità, non specifica espressamente che le due attività non possono essere esercitate dallo stesso soggetto, lasciando intendere il principio come mera separazione societaria o contabile (cioè come distinzione solo formale dei due tipi di attività) e lasciando così del tutto irrisolte le ragioni sostanziali alla base del principio in esame.
      Vi è, infine, un ulteriore addentellato normativo coerente con il disegno di conservazione dello status quo: l'articolo 25 della legge n. 112 del 2004 (e ora l'articolo 43, comma 8, del citato testo unico della radiotelevisione) stabilisce che fino alla completa attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale, il limite al numero complessivo di programmi per ogni soggetto è del 20 per cento ed è calcolato sul numero complessivo dei programmi televisivi concessi o irradiati in ambito nazionale su frequenze terrestri indifferentemente in tecnica analogica o in tecnica digitale, con la precisazione che i programmi televisivi irradiati in tecnica digitale possono concorrere a formare la base di calcolo ove raggiungano una copertura pari al 50 per cento della popolazione. È quindi sufficiente che, a seguito dell'avvio delle trasmissioni digitali, possa aggiungersi agli attuali programmi analogici un numero anche modesto di programmi irradiati in tecnica digitale terrestre (raggiungibili dal 50 per cento della popolazione) perché il numero complessivo dei programmi che vanno a formare la base di calcolo sia ampliato in modo tale da consentire all'operatore che trasmetta tre programmi in tecnica analogica di trovarsi al di sotto della soglia del 20 per cento. Gli operatori oggi in posizione dominante, dunque, non solo possono continuare a trasmettere in tecnica analogica sulla rete eccedente i limiti previsti in origine dalla legge n. 249 del 1997, ma possono acquisire il controllo
 

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di nuovi programmi, indifferentemente analogici o digitali, gratuiti o a pagamento.
      Il combinarsi dei limiti sopra individuati (concentrazione delle frequenze e degli impianti di trasmissione in capo agli operatori dominanti, assenza di limiti alle risorse tecniche ed economiche nel passaggio al digitale, separazione solo formale tra operatore di rete e gestore di contenuti) pare smentire il significato attribuito dal legislatore a sostegno della rivoluzione digitale: contrabbandata come palingenesi del pluralismo informativo, essa finisce per tradursi in una replica dell'attuale sistema duopolistico anticoncorrenziale.
      L'analisi degli strumenti giuridici approntati dal legislatore per la gestione della fase di transizione mette a nudo come, in assenza di una redistribuzione delle frequenze, in mancanza di strumenti di effettiva riduzione delle posizioni dominanti e di una rigida separazione tra gestori di rete e fornitori di contenuti, la volontà che ha sinora animato il legislatore nel governo della fase di transizione dall'analogico al digitale non sia tanto quella di raggiungere l'obiettivo dell'apertura del sistema a un effettivo pluralismo dei servizi televisivi, realizzando al contempo le potenzialità connaturate al processo di convergenza tecnologica, quanto una più modesta replica dell'attuale duopolio su più vasta scala.
      La presente proposta di legge contiene una riforma di sistema dell'assetto radiotelevisivo che mira a superare non solo le citate inadeguatezze degli interventi legislativi degli ultimi anni ma, in modo più ambizioso, i limiti strutturali che trovano origine nel mancato governo del processo di nascita del sistema infrastrutturale delle telecomunicazioni risalente agli inizi degli anni '80. La riforma si basa su due pilastri fondamentali:

          1) delega al Governo per l'introduzione di un approccio alla gestione delle frequenze elettromagnetiche basato sul mercato, superando l'attuale sistema concessorio;

          2) modifica della normativa antitrust.

      La circostanza che al processo di convergenza tecnologica prendano parte - senza una rapida introduzione di misure antidiscriminatorie e pro-concorrenziali - operatori che oggi si trovano, nei diversi mercati televisivi e telefonici, in una posizione di dominanza unilaterale (come nella telefonia fissa) o congiunta (come nel caso della televisione in chiaro e a pagamento e della telefonia mobile) comporta un serio rischio di monopolizzazione dei processi di convergenza, a danno degli operatori alternativi, che sviluppano i propri servizi su piattaforme innovative (ad esempio, il cavo in fibra ottica, l'UMTS e così via) e, quindi, dei consumatori finali. Se non viene impedito lo sbilanciamento del processo di convergenza in favore dei soggetti già dominanti nei mercati tradizionali, si preclude agli operatori alternativi ogni incentivo a promuovere sfide competitive e innovative in futuro, con effetti negativi sia in termini di disincentivo alla realizzazione di nuovi investimenti infrastrutturali, sia in termini di distorsione della concorrenza e del pluralismo nelle comunicazioni.
      In questo contesto la questione posta dall'utilizzo e dalla distribuzione delle frequenze assume un ruolo centrale, condizionando direttamente la struttura del mercato e con esso le opportunità dei new comer di giocare la partita della convergenza in condizioni di effettiva concorrenza con gli operatori storici.
      Il punto chiave riguarda l'inefficienza dell'attuale sistema autoritativo e centralizzato di allocazione e di gestione delle frequenze, che finisce per congelare il mercato in una struttura arbitrariamente prefissata attribuendo alla licenza la natura di rendita da sfruttare. Al contrario, un sistema basato sul libero commercio delle frequenze e sulla flessibilità del loro utilizzo, opportunamente regolato da serie misure antidiscriminatorie e pro-concorrenziali, condurrebbe a un uso molto più produttivo della risorsa scarsa dello spettro radio evitando artificiosi congelamenti del mercato.
      Infatti, il sistema attuale di gestione dello spettro rimette alle autorità pubbliche

 

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le decisioni sull'assegnazione e sull'allocazione delle frequenze, con la conseguenza di affidare a logiche spesso burocratiche, in un settore dove la disponibilità delle frequenze è necessaria per poter operare, la predeterminazione della struttura del mercato e del numero dei soggetti che potranno operare in quel determinato settore. Il sistema concessorio finisce per garantire la persistenza di cartelli con un numero limitato di operatori, proteggendo gli operatori dominanti e impedendo il dispiegarsi del giuoco concorrenziale da parte di nuovi operatori.
      L'esigenza di superare la rigidità dei sistemi tradizionali di assegnazione delle frequenze è avvertita come prioritaria a livello europeo, come dimostra la comunicazione della Commissione delle Comunità europee del 14 settembre 2005, significativamente intitolata «Un approccio basato sul mercato in materia di gestione dello spettro radioelettrico nell'Unione europea» [COM(2005)400]. La comunicazione afferma chiaramente che il modello tradizionale di assegnazione dello spettro radioelettrico non appare più soddisfacente per i servizi di comunicazioni elettroniche in un mondo caratterizzato da un progresso tecnico accelerato e nel quale diviene sempre più difficile settorializzare i servizi tenuto conto della loro convergenza. Ciò rende necessaria una prospettiva di rimozione comune e coordinata dei vincoli all'utilizzo dello spettro in tutti gli Stati membri, al fine di promuovere un'economia digitale aperta e competitiva. La Commissione afferma inoltre che l'instaurazione di un regime di scambio delle radiofrequenze a livello dell'Unione europea creerebbe le condizioni necessarie all'esistenza di servizi transfrontalieri senza discontinuità, sulla base di norme applicate in tutta l'Unione, e creerebbe uno dei più vasti mercati al mondo di servizi basati sullo spettro radioelettrico. Tale regime migliorerebbe rapidamente la posizione competitiva dell'Unione europea e imprimerebbe un impulso decisivo all'innovazione.
      Per tutte queste ragioni la presente proposta di legge contiene un'importante delega al Governo per l'emanazione di una nuova disciplina sulla delicata materia della gestione dello spettro (articolo 4). I princìpi e criteri direttivi ai quali il legislatore delegato dovrà attenersi da un lato recepiscono le indicazioni contenute nella citata comunicazione, dall'altro si fanno carico di indirizzare il legislatore delegato alla predisposizione di un'accorta disciplina volta a governare e a ottimizzare il processo di transizione, al fine di scongiurare da una parte il rischio di consolidamento (nei mercati emergenti delle nuove piattaforme tecnologiche) dello sbilanciamento che caratterizza l'attuale contesto competitivo, e dall'altra che vengano compromesse in modo irragionevole posizioni acquisite in precedenza, pur in mancanza di una adeguata regolamentazione.
      Il mercato aperto delle frequenze dovrà essere disciplinato sulla base di alcuni fondamentali princìpi:

          a) il principio del libero scambio, inteso come garanzia del diritto di praticare il commercio delle frequenze;

          b) il principio di neutralità tecnologica, inteso come indifferenza del tipo di tecnologia con la quale è realizzata la rete rispetto alla fornitura di uno specifico servizio di comunicazione elettronica;

          c) il principio di neutralità nei confronti dei servizi, inteso come libertà nell'uso che l'operatore può fare delle frequenze di cui è titolare;

          d) il principio di trasparenza, inteso come libero accesso alle informazioni relative al mercato delle frequenze, al fine di evitare asimmetrie informative generatrici di nuove barriere all'accesso al mercato.

      Il legislatore delegato dovrà estendere il mercato aperto delle radiofrequenze in modo tale da coprire non solo le bande dello spettro attualmente utilizzate per i servizi radiotelevisivi o radiofonici, ma anche quelle parti attualmente utilizzate negli altri settori delle comunicazioni elettroniche, tenuto conto che la messa a disposizione di una parte troppo limitata

 

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dello spettro rischierebbe di favorire i comportamenti di accumulo anticoncorrenziale. Parimenti affidata alla legge delegata è l'individuazione di quelle parti dello spettro riservate a fini di esclusivo interesse pubblico o che comunque siano escluse dal mercato in quanto gestite a livello sopranazionale o in quanto riservate ad utilizzo di pubblico dominio e aperte alla libera innovazione, al di fuori del controllo pubblico o privato.
      In tale prospettiva il processo di transizione assume una duplice dimensione: il passaggio dalla tecnica trasmissiva analogica a quella digitale è accompagnato dal superamento dell'attuale sistema centralizzato di allocazione e di gestione delle frequenze in favore di un approccio basato sul mercato. Affinché tale processo avvenga con successo, consentendo un'offerta capace di realizzare tutte le potenzialità veicolabili dalle nuove piattaforme alternative, è indispensabile l'istituzione di un apposito organo che assuma le funzioni di regìa tecnica della fase di transizione. Si prevede pertanto l'istituzione da parte del Ministro delle comunicazioni, in collaborazione con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e con l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, di un apposito organo avente il compito di coordinare e di vigilare la fase di completa attuazione delle trasmissioni televisive e radiofoniche in tecnica digitale con l'instaurazione di un mercato aperto delle frequenze elettromagnetiche. Oltre a vari compiti di coordinamento è attribuito a quest'organo il fondamentale compito di eliminare o ridurre le barriere all'entrata nel mercato, adottando misure volte a ridurre la posizione di vantaggio di cui godono gli attuali incumbent. A tale fine il legislatore delegato dovrà disciplinare una serie di misure asimmetriche volte ad imporre alle imprese attualmente dominanti:

          1) di mettere una parte della propria capacità trasmissiva a disposizione degli altri fornitori di contenuti in grado di esercitare un'effettiva pressione competitiva;

          2) di presentare un'offerta per un accordo, su richiesta di altri operatori, di gestione della rete o di una sua parte;

          3) di dismettere, ove necessario, aziende o rami di azienda, o rinunciare a quote di partecipazione in società ad essa attribuibili, in modo da garantire l'avvio del mercato delle frequenze in modo compatibile con il rispetto dei limiti di cui agli articoli 5, 6, 7 e 8;

          4) di cedere le frequenze elettromagnetiche eccedenti il rispetto dei limiti anticoncentrazionistici.

      Per la creazione del mercato delle frequenze la legislazione delegata dovrà prevedere un'analisi dettagliata della situazione esistente al fine di produrre una base informativa aggiornata e affidabile sulle condizioni attuali dello spettro elettromagnetico, per poi definire apposite procedure di attribuzione delle frequenze disponibili.
      Tra i princìpi e criteri direttivi della nuova disciplina della fase di transizione è prevista anche l'istituzione di un sistema di certificazione della qualità delle frequenze. Il commercio delle frequenze sarebbe infatti del tutto vanificato dalla mancanza di una certificazione sulla qualità e sull'effettiva estensione dell'area di servizio irradiata.
      Il secondo pilastro della riforma riguarda la disciplina antitrust che si articola in tre aspetti innovativi: l'introduzione della separazione tra operatori di rete e fornitori di contenuti (articolo 3, comma 5), destinata a divenire operativa a partire dal completamento del mercato aperto delle frequenze elettromagnetiche; la revisione in senso più rigoroso dei limiti anticoncentrazionistici (articoli 6, 7, 8, e 9); la definizione del riparto di competenze tra Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Autorità garante della concorrenza e del mercato e un irrobustimento dei poteri sanzionatori delle medesime Autorità (articoli 10 e 11).
      Il primo e il più importante presupposto per l'apertura delle reti è la separazione della responsabilità per la rete dall'attività economica che consiste nell'offerta di servizi. Questa separazione è il logico presupposto dell'accesso alla rete e,

 

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dunque, di una struttura di mercato effettivamente concorrenziale ed è fatta propria dalle direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, sulle comunicazioni elettroniche. Essa è introdotta nel comma 5 dell'articolo 3 della presente proposta di legge che stabilisce, successivamente alla completa attuazione del mercato aperto delle frequenze radiofoniche e televisive in tecnica digitale, il divieto per gli operatori di rete di svolgere, anche attraverso soggetti controllati o collegati, l'attività di fornitore di contenuti televisivi o di fornitore di contenuti radiofonici oppure di fornitore di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato.
      Il principio della separazione delle reti dai contenuti, inoltre, si collega direttamente alla disciplina della fase di transizione al mercato aperto delle radiofrequenze e alla normativa antitrust. Quest'ultima disciplina, contenuta nel capo III della proposta di legge, contiene tre tipologie di limiti anticoncentrazionistici, modulati a seconda della sequenza temporale di riferimento (precedente o successiva alla creazione del mercato aperto delle frequenze).
      Gli articoli 6 e 7 introducono limiti «tecnici». Una volta che sia pienamente attuato il principio della separazione tra reti e contenuti, il limite tecnico diviene chiaramente duplice, riguardando sia la titolarità delle reti infrastrutturali di trasmissione del segnale, sia la titolarità della fornitura di contenuti. Il primo limite (articolo 6, comma 1) ha come destinatario il network provider e impedisce a uno stesso soggetto di possedere più del 20 per cento delle reti televisive o radiofoniche in tecnica digitale. Il secondo limite (articolo 7, comma 1) ha come destinatario il content provider e impedisce a uno stesso soggetto di diffondere più del 20 per cento del totale dei programmi televisivi o più del 20 per cento del totale dei programmi radiofonici irradiabili su frequenze terrestri in ambito nazionale.
      Nell'emittenza terrestre in tecnica analogica vi è coincidenza tra editore e gestore degli impianti di diffusione, per cui il limite tecnico finisce per applicarsi al medesimo soggetto. Proprio il limite tecnico alla titolarità delle reti/programmi è stato al centro delle vicende legislative e giurisprudenziali degli ultimi anni. L'articolo 2, comma 6, della legge n. 249 del 1997 (cosiddetta «legge Maccanico») sanciva un limite al possesso delle reti pari al 20 per cento delle reti analogiche, ciò che avrebbe comportato l'impossibilità, per un solo soggetto, di mantenere la titolarità di tre concessioni in ambito nazionale. Proprio sull'applicazione di tale limite è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, giudicandone improrogabile l'attuazione entro il termine perentorio del 31 dicembre 2003. In questo contesto intervenne il cosiddetto «decreto salva reti», il decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2004, n. 43, che prorogava l'applicazione dei limiti contenuti nella legge n. 249 del 1997 sino alla data di adozione di apposita deliberazione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Nel frattempo è intervenuta la legge 3 maggio 2004, n. 112, che ha mantenuto il limite tecnico del 20 per cento dei programmi, rapportandolo però alla nuova dimensione del digitale terrestre (articolo 15, comma 1, della legge n. 112 del 2004, ora articolo 43, comma 7, del testo unico della radiotelevisione), consentendo in tal modo agli operatori privati attualmente in posizione dominante di mantenere le reti terrestri eccedenti i limiti originariamente fissati dalla legge n. 249 del 1997 e di aumentarne il numero. La concreta applicazione della norma è differita al momento della completa attuazione del piano di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale, cioè al momento del definitivo abbandono della tecnica analogica; nel frattempo trova applicazione il regime transitorio già descritto (articolo 25, comma 8, della legge n. 112 del 2004, ora articolo 43, comma 8, del testo unico della radiotelevisione) che consente il cumulo dei programmi in tecnica analogica e digitale ai fini della determinazione della base di calcolo del limite del 20 per cento. In tale modo sia
 

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per il presente che per il futuro sono fatte salve le posizioni dominanti che attualmente caratterizzano il nostro assetto radiotelevisivo.
      La presente proposta di legge interviene sul punto mantenendo chiara, anche per la fase attuale di emissione in tecnica analogica, la distinzione tra limite al possesso di reti e limite al cumulo dei programmi. Quanto alle reti viene ripristinato il vecchio limite della legge n. 249 del 1997, che impedisce a uno stesso soggetto di irradiare più del 20 per cento rispettivamente delle reti televisive o radiofoniche analogiche (articolo 6, comma 1). Quanto al limite relativo al cumulo dei programmi viene modificata la disposizione attualmente in vigore (articolo 43, comma 8, del testo unico della radiotelevisione) prevedendo espressamente che i programmi televisivi irradiati in tecnica digitale non possono concorrere «a formare la base di calcolo del limite del 20 per cento stabilito per i programmi trasmessi in tecnica analogica». È infatti preferibile che il limite destinato a disciplinare la fase attuale, caratterizzata dalla netta prevalenza della televisione analogica, sia calcolato sulla base dei soli programmi trasmessi in tecnica analogica.
      L'articolo 8 disciplina il limite «economico» alla raccolta di risorse da parte dei soggetti esercenti attività radiotelevisiva. In questo caso si è differenziata la disciplina dell'emittenza terrestre rispetto all'emittenza via cavo o via satellite. La legge n. 249 del 1997 introduceva il limite del 30 per cento delle risorse del settore televisivo in ambito nazionale. La legge n. 112 del 2004 ha abrogato tale disposizione e ha introdotto un nuovo limite economico commisurato al 20 per cento dei ricavi complessivi del sistema integrato delle comunicazioni, eliminando così i limiti operanti nel settore radiotelevisivo e riferiti all'ammontare massimo delle risorse acquisibili da un singolo soggetto (articolo 15, comma 2, della legge n. 112 del 2004, ora articolo 43, comma 9, del citato testo unico della radiotelevisione). Infatti il sistema integrato delle comunicazioni aggrega in un coacervo eterogeneo, in via astratta e generale, beni e servizi che non possono essere ricondotti a un medesimo ambito di mercato, con il risultato di privare di qualunque efficacia la soglia antitrust del 20 per cento. Secondo la giurisprudenza nazionale e comunitaria consolidata, il mercato rilevante ai fini dell'applicazione del limite antitrust comprende tutti quei prodotti o servizi che sono sostituibili non soltanto in termini di caratteristiche tecnologiche, ma soprattutto in relazione alla loro capacità di soddisfare, allo stesso modo, le preferenze dei consumatori. Il paniere creato dalla legge n. 112 del 2004 (articolo 15, comma 3) comprende prodotti o servizi che sono solo scarsamente o relativamente intercambiabili tra loro sulla base delle preferenze espresse dai consumatori e, pertanto, comprende beni e servizi che, allo stato attuale, risultano appartenere, in base ai consolidati princìpi antitrust, a mercati diversi. L'allargamento del paniere ha un senso e una coerenza con i princìpi antitrust solo se è accompagnato da un'effettiva integrazione tra i vari mercati che compongono il settore delle telecomunicazioni. Pertanto, ciò che suscita maggiori perplessità nella normativa vigente non è, di per sé, l'allargamento del paniere, ma il fatto che l'ampliamento, non accompagnato da una seria disciplina della convergenza, finisca per includere mercati tra loro non ancora integrati. La legge cade così in una evidente contraddizione, poiché introduce la nozione di sistema integrato delle comunicazioni come paniere di riferimento dei limiti antitrust, senza approntare strumenti efficaci volti ad aprire i mercati delle telecomunicazioni e a favorire il processo di convergenza multimediale. Si legittima così il sospetto che il riferimento al sistema integrato delle comunicazioni non sia il segno di un'adesione convinta alla strategia comunitaria nel settore della convergenza tecnologica, ma sia piuttosto funzionale a una diluizione della soglia del 20 per cento nell'ottica di una protezione delle attuali posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo.
      La presente proposta di legge cambia la disciplina sul punto introducendo un limite
 

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economico del 30 per cento riferito al settore televisivo (articolo 8): tenuto conto dello stato attuale del processo di convergenza, ancora lontano da una sua piena realizzazione, è parso opportuno reintrodurre il limite settoriale già previsto dalla legge n. 249 del 1997.
      S'è visto come la delega contenuta nell'articolo 4 si sforzi di governare la convergenza tra i diversi mercati che compongono l'intero sistema delle comunicazioni e dell'informazione in un'ottica di progressiva apertura e integrazione. Logica conseguenza di tale prospettiva è la previsione di una terza tipologia di limiti antitrust, già previsti dalla normativa vigente, che si applicano alle ipotesi di soggetti che operano non solo nel mercato tradizionale della radiotelevisione, ma anche nei diversi comparti che compongono l'intero settore delle comunicazioni.
      L'articolo 9, comma 1, introduce un limite alla possibilità di incroci proprietari tra soggetti operanti in settori diversi della comunicazione. In particolare, per quanto concerne gli incroci proprietari tra stampa e televisione, si riprende una disposizione già contenuta nella legge n. 112 del 2004 (articolo 15, comma 6, ora articolo 43, comma 12, del testo unico della radiotelevisione) volta ad evitare che il vantaggio iniziale derivante dall'integrazione possa essere prevalentemente a favore degli operatori televisivi, stabilendosi che sino al 31 dicembre 2015 gli operatori televisivi che controllano più di una rete non possano fare ingresso nel mercato dei giornali quotidiani.
      L'articolo 9, comma 2, modula il limite economico alla quantità di risorse assentibili in capo a un medesimo soggetto all'ipotesi dell'effettiva integrazione tra mercati diversi della comunicazione e dell'informazione. Nel caso di incroci proprietari tra televisione, radio, carta stampata, cinema, televisione via internet e altri media affini, il limite delle risorse acquisibili da un medesimo soggetto è del 20 per cento del totale delle risorse del settore radiotelevisivo e dei media affini. Si prevede, dunque, un paniere più ampio, comprensivo di mercati differenti, ma destinato a divenire operativo come base di calcolo del limite economico solo all'atto della effettiva integrazione del sistema delle comunicazioni.
      In pratica, il limite economico alle risorse acquisibili da un medesimo soggetto è modulato a seconda dell'effettiva integrazione tra i diversi mercati che compongono l'intero sistema delle comunicazioni sonore e televisive (realizzate con qualsiasi piattaforma tecnologica).
      Nella fase attuale, caratterizzata da una limitata convergenza multimediale tra le diverse piattaforme tecnologiche, operano i limiti settoriali di cui all'articolo 8 (etere terrestre, satellite e cavo, radiofonia); man mano che si realizza la convergenza opera il limite di cui all'articolo 9, comma 2 (radiotelevisione e media affini). In tal modo, fermo restando il primo limite, la previsione di un paniere ampio ed eterogeneo quale quello dei media affini (definito dal comma 3 dell'articolo 9) non rischia di depotenziare nel presente l'efficacia del limite settoriale alla raccolta di risorse.
      Infine, l'ultimo limite anticoncorrenziale, sempre di natura economica, riguarda gli attuali soggetti dominanti nel settore delle comunicazioni elettroniche per i quali il limite alle risorse acquisibili nel settore della radiotelevisione e dei media affini scende dal 20 per cento al 10 per cento. Questa disposizione è contenuta nel comma 4 dell'articolo 9 e ricalca senza modifiche quella contenuta nell'articolo 15, comma 4, della legge n. 112 del 2004 (ora articolo 43, comma 11, del testo unico della radiotelevisione).
      Il terzo aspetto innovativo in materia di normativa anticoncorrenziale concerne l'annoso problema della ripartizione di competenze tra l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Anche sotto questo profilo occorre richiamare brevemente l'evoluzione legislativa. Prima dell'istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ad opera della legge n. 249 del 1997, le attribuzioni in materia antitrust nel settore della radiodiffusione e dell'editoria spettavano al Garante
 

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per la radiodiffusione e l'editoria, residuando in capo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato l'esercizio di una mera funzione consultiva. L'entrata in vigore della legge n. 249 del 1997 introduce un doppio livello di controllo e responsabilità sulle operazioni societarie interessanti il mercato delle comunicazioni, istituendo l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e al contempo trasferendo in capo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato la titolarità delle competenze in materia di tutela della concorrenza nel settore delle comunicazioni. Tuttavia il riparto delle competenze è avvenuto in modo tale da imporre la coesistenza di due autorità di vigilanza su un medesimo mercato, determinando problemi di esatta delimitazione delle rispettive sfere di competenza, con rischi di sovrapposizione delle rispettive funzioni e attribuzioni. In particolare è poco chiara la diversità dei presupposti d'intervento delle due autorità: l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è chiamata ad accertare e a reprimere l'effettiva sussistenza della posizione dominante in quanto tale, mentre all'Autorità garante della concorrenza e del mercato è attribuito il compito di impedire l'abuso di posizione dominante. Un ulteriore elemento che rende problematica la dicotomia tra compiti e competenze delle due autorità è la circostanza che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è chiamata ad utilizzare, nelle proprie analisi e verifiche, strumenti tipici del diritto della concorrenza, configurando l'esercizio di una tipica attività antitrust in capo a un soggetto giuridico diverso da quello istituzionalmente deputato a tale funzione.
      Il punto di partenza per la soluzione del problema non può che essere l'assunzione di un criterio «funzionale» di attribuzione delle competenze antitrust, abbandonando la logica settoriale in materia di normativa pro-concorrenziale. La legge sulla concorrenza ha carattere generale; pertanto non può essere amministrata a livello di singolo settore ma deve essere applicata in maniera uniforme in tutti i mercati, il che rende preferibile l'attribuzione a un solo organismo di ogni competenza in materia di vigilanza e controllo sul mercato e di interventi repressivi nei confronti di ogni forma di concentrazione. In questa prospettiva si colloca la presente proposta di legge, che agli articoli 10 e 11 delinea una ripartizione di competenze tra le due autorità fondata sulla distinzione tra «concorrenza» e «pluralismo»: all'Autorità garante della concorrenza e del mercato è attribuita una competenza generale in materia di vigilanza sulle caratteristiche strutturali del mercato della comunicazione, ai fini della tutela del libero giuoco della concorrenza, in conformità all'articolo 41 della Costituzione; all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni spetta una competenza a tutela del pluralismo informativo e della libera diffusione delle idee, in conformità all'articolo 21 della Costituzione. Ne deriva che tutte le competenze a tutela del mercato delle comunicazioni in materia di posizioni dominanti, intese e concentrazioni sono trasferite in capo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà controllare periodicamente l'impatto degli assetti strutturali del sistema delle comunicazioni e dei diversi mercati che lo compongono sui livelli di pluralismo informativo, inteso come rappresentazione aperta alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali, religiose e alla pluralità di modi, forme, linguaggi e appartenenze di cui la società si compone.
      Un altro aspetto innovativo riguarda la disciplina dei poteri sanzionatori delle due autorità. Al fine di comprendere il senso di alcune delle innovazioni contenute nella presente proposta di legge occorre ricordare una recente vicenda giudiziaria che ha visto protagoniste le società RAI-Radiotelevisione italiana Spa, RTI-Reti televisive italiane Spa e Publitalia '80 Spa, nei confronti delle quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con tre delibere (nn. 150, 151 e 152) adottate l'8 marzo 2005, applicava una sanzione pari al 2 per cento del fatturato pubblicitario realizzato nel 2003, in quanto tali società non avevano ottemperato a provvedimenti
 

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dell'Autorità stessa emanati all'esito dell'accertamento di posizioni dominanti per violazioni dei limiti economici contenuti nella legge n. 249 del 1997. A seguito di ricorso presentato da tutte e tre le società il tribunale amministrativo regionale del Lazio stabiliva, accogliendo le ragioni dei ricorrenti, che nessuna sanzione poteva essere applicata poiché la delibera rimasta inottemperata era priva di contenuto «concreto, necessario e conformativo». In altri termini, il contenuto della delibera non specificava quali comportamenti concreti il destinatario fosse vincolato a porre in essere, finendo così per tradursi in una semplice esortazione al destinatario volta a stimolarne la volontaria osservanza del precetto legislativo. È accaduto, dunque, che il pur accertato superamento dei limiti alla raccolta delle risorse non ha prodotto alcuna conseguenza concreta in termini di adeguamento degli operatori dominanti ai limiti sanciti dalla normativa sulla concorrenza.
      Al fine di superare questa clamorosa incongruenza tra poteri istruttori e poteri conformativi, si sono introdotte alcune disposizioni volte a specificare il contenuto dei provvedimenti sanzionatori adottabili dall'Autorità competente in materia antitrust. Innanzitutto si stabilisce espressamente che i provvedimenti sanzionatori debbano contenere concrete misure eliminatorie o inibitorie, in modo tale da chiarire con precisione il concreto comportamento che l'impresa destinataria del provvedimento stesso è tenuta a porre in essere (articolo 10, comma 6). In secondo luogo, si tipizza il contenuto dei provvedimenti che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato può adottare all'esito dell'istruttoria che accerti la sussistenza di posizioni in violazione dei limiti antitrust. Infatti il limite principale dell'attuale normativa riguarda proprio il caso delle posizioni dominanti che già esistono nel mercato. Si è allora tipizzata una gamma di misure flessibili volte a ridimensionare in modo graduale ma effettivo tali posizioni, consentendo l'ingresso nel mercato radiotelevisivo di nuovi soggetti in grado di determinare un'effettiva pressione competitiva. Sono le cosiddette «misure asimmetriche» volte a ridimensionare il potere di mercato dell'ex monopolista a favore dei new comer. In quest'ottica l'articolo 10, comma 5, della proposta di legge prevede che l'Autorità possa intervenire proponendo alle imprese che si trovino in posizione dominante di adottare una o alcune delle seguenti misure:

          a) dismissioni di aziende o di rami di azienda, o rinuncia a quote di partecipazione in società ad essa attribuibili, in modo da garantire il rispetto dei limiti di cui agli articoli 6, 7, 8 e 9;

          b) riduzione dei programmi irradiati, in modo da garantire il rispetto dei limiti di cui all'articolo 7;

          c) riduzione della quota di proventi raccolti, nella misura necessaria a non superare i limiti di cui all'articolo 8;

          d) imposizione temporanea di limiti di affollamento pubblicitario più restrittivi di quelli previsti dalla legislazione vigente in materia;

          e) imposizione dell'obbligo di mettere una parte della propria capacità trasmissiva a disposizione di altri fornitori di contenuti in grado di esercitare un'effettiva pressione competitiva.

 

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